03 Mag Risarcimenti per Insufficiente Manutenzione delle Strade
Generalità.
Il tema dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. alla p.a. per omessa od insufficiente manutenzione di pubbliche vie, cui segua un sinistro, è attualmente assai discusso. Prima di affrontarlo ex professo, valga la pena di compiere una panoramica generale sulla fattispecie di responsabilità da cose in custodia.
È noto che dottrina e giurisprudenza così individuino i requisiti della responsabilità ex art. 2051 c.c.:
- a) essersi il danno verificato nell’ambito del dinamismo connaturato alla cosa;
- b) esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi.
In particolare, poi, perché sia integrata la responsabilità da cose in custodia è necessario che il danno sia originato dalla cosa in se. Fatta tale premessa, si assiste, allo stato, a vivaci discussioni circa l’applicabilità o meno dell’art. 2051 c.c. alla p.a. per omessa od insufficiente manutenzione di pubbliche vie, cui segua un sinistro. Si sta facendo breccia l’orientamento secondo cui l’art. 2051 c.c. è applicabile alle insidie su strade pubbliche, salvo che l’effettivo, continuo ed efficace controllo sulla strada da parte della p.a. sia risultato oggettivamente impossibile in ragione della notevole estensione di essa e del suo uso generale da parte di terzi, ipotesi, quest’ultima, che comporterebbe l’applicazione – residuale – dell’art. 2043 c.c..
Da tale impostazione deriva, come è noto, un alleggerimento dell’onus probandi in capo all’attore nella fattispecie di responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c., rispetto alla fattispecie di generica responsabilità ex art. 2043 c.c.. Nella prima, infatti, sarà sufficiente dimostrare l’esistenza del rapporto soggetto – cosa – danno, e la prova liberatoria sarà più gravosa per il danneggiante, vertendosi in ipotesi di responsabilità presunta iuris tantum; nella seconda bisognerà quanto meno, allegare la colpa del danneggiante, che non dovrà superare alcuna presunzione di responsabilità.
Aspettativa negli utenti della strada a che le cose costituenti arredo urbano non abbiano a cagionar danni.
Come detto al punto che precede, in materia d’insidia stradale la terza sezione della Cassazione ha ribaltato il principio dell’automatica disapplicazione alla p.a. dell’art. 2051 c.c., presumendo, quindi, il rapporto di custodia tra la p.a. stessa e la strada, salva la prova dell’impossibilità di un controllo continuativo a causa della notevole estensione e dell’uso generale del bene, che condurrebbe all’applicazione dell’art. 2043 c.c. Tale ultima preoccupazione ha, quindi, fatto affermare alla Suprema Cassazione che i limiti all’applicazione dell’art. 2051 c.c. – a vantaggio dell’applicazione dell’art. 2043 c.c. – vadano valutati con riferimento al caso concreto, con riguardo, cioè, alla tipologia della strada ed allo stato dei mezzi tecnologici attuali.
Quindi, spostando il discorso sul piano del nesso causale, se è vero che si ha responsabilità ex art. 2051 c.c. quando il danno si verifichi nell’ambito del dinamismo connaturato alla cosa, il custode deve attivarsi perchè la res, proprio nella sua normale interazione con il contesto circostante, non abbia a causar danni.
In ipotesi che potrebbero verificarsi nel quotidiano vivere, la presenza su strada di una non visibile sconnessione attorno – ad esempio – ad un tombino fognario, determinante una caduta dell’utente della strada con danni alla sua persona, concreta pacificamente una responsabilità in capo alla p.a. proprietaria, rea di non essersi attivata in ordine alla rimozione di una fonte di pericolo per i consociati.
Non è neppure invocabile, per escludere la responsabilità del soggetto pubblico ex art. 2051 c.c., la sussistenza del caso fortuito, che la Cassazione ravvisa quando l’evento dannoso «. . . presenti i caratteri della imprevedibilità e della inevitabilità; come accada quando esso si sia verificato prima che l’ente proprietario o gestore, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire un intervento tempestivo, potesse rimuovere o adeguatamente segnalare la straordinaria situazione di pericolo determinatasi, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere» (Cass. 13 gennaio 2003, cit.).
Esame della legislazione speciale in materia di strade.
L’applicazione dell’art. 2051 c.c. alla fattispecie di danni in commento consegue, altresì, dall’esame della legislazione speciale in materia di strade.
In particolare, l’art. 5, r.d. 15 novembre 1923 n. 2506, recante «Disposizioni per la classificazione e manutenzione delle strade pubbliche», così dispone: «Alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade di quarta classe provvedono i rispettivi comuni a totali proprie spese». Ancora, ed è ciò che più conta, l’art. 14, d. lgs. 30 aprile 1992 n. 285 – «Nuovo codice della strada», statuisce che gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono:
- a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi;
- b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze;
- c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta.
L’esistenza di una normativa di dettaglio che prescrive pregnanti obblighi manutentivi e custodiali in capo all’ente proprietario – concretatisi nella manutenzione, nella pulizia nel controllo dell’efficienza e nell’importante opera di posizionamento della segnaletica – postula, in caso di sinistro derivante da insidia stradale, l’applicazione della fattispecie ex art. 2051 c.c..
Così ragionando, l’attribuzione ex lege alla p. a. della proprietà di alcuni beni, tra i quali appunto le strade, implica il riconoscimento della custodia, rilevante ex art. 2051 c.c., all’unico soggetto astrattamente idoneo a consentirne l’uso e la gestione più adatti.
Indirizzo tradizionale: applicazione dell’art. 2043 c.c..
Di un inquadramento dell’insidia stradale nell’art. 2043 c.c. è espressione la seguente massima: «La p.a. nell’esercizio del suo potere discrezionale in ordine alla esecuzione e manutenzione di opere pubbliche, nonché nella vigilanza e controllo in genere dei beni demaniali, incontra i limiti derivanti sia da norme di legge che regolamentari, sia da norme tecniche, sia da norme di comune prudenza e diligenza ed, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere (art. 2043 c.c.), in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che l’opera pubblica non presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto evidenziata dal carattere oggettivo della non visibilità e da quello soggettivo della non prevedibilità del pericolo. La p.a. incontra, nell’esercizio del suo potere discrezionale anche nella vigilanza e controllo dei beni demaniali, limiti derivanti dalle norme di legge e di regolamento, nonché dalle norme tecniche, e da quelle di comune prudenza e diligenza, ed, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere, in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile» (in tal senso, espressamente, Cass., 12 novembre 1997, n. 11455; conf., id., 28 luglio 1997, n. 7062).
In tale ottica, la disposizione violata sarebbe quella – fondamentale – dell’art. 2043 c.c., che finisce per assolvere al ruolo residuale che le è proprio, tutte le volte che non trovi applicazione una norma a carattere speciale.
Avv. Ercolano Fedele