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Frode Processuale: l’orientamento della Cassazione.

frode processualeQUALI SONO I LIMITI DEL REATO DI FRODE PROCESSUALE?

Rappresentare in giudizio un fatto mai avvenuto, costituisce una truffa “ordinaria” o una frode processuale?

Secondo la Suprema Corte non è una condotta sussumibile né nella fattispecie del 640 c.p. né in quella del 374 c.p. Queste le conclusioni degli “ermellini” nella sentenza n.21611/16.

La parte civile accusava l’imputato di aver tentato di trarre in inganno il giudice civile, rappresentando un fatto mai realmente avvenuto, e che avrebbe potuto arrecarle un nocumento, laddove il giudicante avesse riconosciuto il diritto al risarcimento del danno.

Da tali argomentazioni, la parte civile, riteneva fosse configurabile la truffa ordinaria prevista dall’art. 640 c.p., a prescindere dalla configurabilità della c.d. Frode processuale ex art. 374 c.p.

Sia il giudice di prime cure che la Corte d’Appello assolvevano l’imputato e la Cassazione, concordando con le conclusioni del giudice di merito, confermando un indirizzo giurisprudenziale già precedentemente espresso, statuiva che:

  • pur non essendo necessaria l’identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce conseguenze patrimoniali negative, va esclusa la sussistenza del reato di truffa nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che, “sulla base di una testimonianza falsa”, abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all’imputato. La sentenza del giudicante, infatti, non può essere paragonata ad un atto gestorio di interessi altrui, trattandosi dell’attuazione del potere giurisdizionale finalizzato alla risoluzione di contrasti tra le parti. In buona sostanza, il fatto rappresentato manca di un elemento essenziale della del reato di truffa, ovvero: la disposizione patrimoniale;
  • siffatta condotta non è sussumibile neanche nella fattispecie prevista e punita dall’art. 374 c.p., rubricato come “frode processuale”, in quanto, tale norma punisce “chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nell’esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni”. È punito altresì chi commette il fatto “nel corso di un procedimento penale, anche davanti alla Corte penale Internazionale, o anteriormente ad esso”.

Il dettato normativo non lascia spazio ad un’interpretazione estensiva della legge volto ad includere altre fattispecie non espressamente previste dal legislatore, vigendo il divieto di “analogia in malam partem”.

La volontà del legislatore è chiara: limitare le condotte penalmente rilevanti alle fattispecie previste dalla norma.

 

Avv. Alessandro Gammieri

Penalista Studio Legale “Il Mio Diritto”

Consulenza ed Assistenza Legale Civile, Penale, Lavoro e Previdenziale.

Gruppo “New-d Economy”