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garanzie processuali stranieri

Garanzie Processuali per gli Stranieri

garanzie processuali stranieri
L’art. 143 c.p.p., modificato dal decreto legislativo n.32 del 2014, richiama i principi cristallizzati dalla Direttiva Europea 65/2010/EU finalmente recepita nell’Ordinamento italiano, in relazione alla parità di trattamento, in sede processuale, degli imputati/indagati stranieri ed italiani.

La novella normativa prevede, in favore dell’imputato alloglotta, la traduzione degli “atti fondamentali” e  tali sono quelli necessari per garantire che gli imputati o gli indagati «siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa e per tutelare l’equità del procedimento».  I «documenti» in tal senso obbligatoriamente da tradurre sono l’informazione di garanzia (articolo 369 del Cpp), l’informazione sul diritto di difesa (articolo 369-bis del Cpp), i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, i decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, le sentenze e i decreti penali di condanna.
La ratio della norma è palese: rendere sostanziale la parità processuale tra cittadini stranieri e cittadini italiani, affinchè i primi, come i secondi, possano godere delle medesime garanzie processuali. Il comma 4 dell’art. 143 c.p.p. prevede che l’accertamento sulla conoscenza della lingua italiana sia operato dall’autorità giudiziaria che è tenuta a verificare se l’imputato alloglotta sia in grado di capire le accuse mosse a suo carico, al fine di potersi difendere. La legge è chiara e lascia poco spazio alla fantasia…. tuttavia, cosa accade nella realtà? Nella pratica processuale, purtroppo, l’accertamento avviene con la semplice domanda: “lei capisce l’italiano?” a cui viene risposto laconicamente “poco” e la conseguente richiesta di declinare le proprie generalità. Tuttavia, molto spesso, l’imputato è forse in grado di capire e rispondere a domande elementari, ma certamente non è capace di comprendere il contenuto degli atti giudiziari a suo carico. È palese che non può essere questa la “parità di trattamento” a cui si riferisce la Direttiva Europea e finalmente declinata dall’art. 143 c.p.p., né è plausibile un tale semplicistico raggiro. In quanto, in caso contrario, verrebbero a cadere i diritti Costituzionali su cui si fondano le tutele processuali in sede giudiziaria e si dovrebbe pertanto distinguere tra il diritto di difesa “formale” per gli stranieri, e quello “sostanziale” degli imputati italiani, che di certo non può essere il fine perseguito dal legislatore.

Avv. Alessandro Gammieri